lunedì 29 febbraio 2016

Avremo un Senato Dopolavoro

Se i No non prevarranno nel referendum popolare sulla riforma del Senato, la Costituzione del 1947 non esisterà più, abrogata in tutta la parte concernente l’ordinamento della Repubblica e sostituita con un’altra.
Avremo un Senato dopolavoro dei consiglieri regionali; l’esecutivo padrone dell’agenda dei lavori parlamentari (avrà leggi approvate a data fissa); un solo partito identificato col governo e detentore di una maggioranza assoluta attribuitale dalla legge vigente “Italicum” grazie al premio di maggioranza; la fiducia, non più dovuta dal Senato, assicurata alla Camera dal solo partito del presidente del Consiglio, non una vera fiducia perché inquinata dal vincolo della disciplina di partito, restando irrilevante il voto di altri gruppi, a differenza di quanto avviene nelle coalizioni; i rapporti di forza governo-regioni modificati a favore del centralismo statale; le forme di democrazia diretta rese più difficili, la stessa rappresentanza mortificata con la nomina dei deputati e la riduzione del pluralismo politico; gli organi di garanzia ridimensionati, a cominciare dal presidente della Repubblica, a causa del peso decisivo del partito dominante e dell’uomo al comando nell’esprimerli; e la Costituzione sarà indebolita nella sua capacità di resistere ad altre avventate future riforme.
Ma al di là dei contenuti, questa riforma soffre di quello che potremmo chiamare “un peccato originale”, il fatto cioè di essere approvata da un Parlamento di nominati dai partiti, delegittimato da una sentenza della Corte Costituzionale che lo ha giudicato non rappresentativo della sovranità popolare a causa del “Porcellum” con cui è stato eletto.  Con conseguente illegittimità della sua composizione: i 150 voti dovuti al premio di maggioranza avrebbero dovuto essere distribuiti.
Nella sentenza della Consulta si affermava sì che le Camere potevano continuare ad operare, non però in forza della legge elettorale dichiarata incostituzionale, ma grazie a un principio fondamentale del nostro ordinamento, “principio di continuità dello Stato»”.
La Corte richiamava, quale esempio di applicazione di tale principio, la prorogatio dei poteri delle Camere, a seguito delle nuove elezioni, finché non vengano convocate le nuove, come previsto dall’articolo art. 61 Costituzione che però pone un limite di tempo non superiore ai tre mesi.
Evidente che un Parlamento nel quale perdura la «eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa», delegittimato quanto meno politicamente, se non anche giuridicamente, non può considerarsi legittimato a procedere ad una revisione costituzionale di così ampia portata. Un Parlamento costituito da parlamentari “nominati” grazie al Porcellum, insicuri di essere rieletti e perciò ricattabili ed esposti alla mercé del migliore offerente.  Il che è dimostrato dal record, nella XVII legislatura, di passaggi da un gruppo parlamentare all’altro: con 325 migrazioni tra Camera e Senato in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti.

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