Il Presidente del Consiglio ne fa una questione personale.
O con me o mi dimetto.
Stia sereno e pensi a fare bene il Suo lavoro.
Legge elettorale e riforma della Costituzione non fanno parte del suo
lavoro, poiché spettano al Parlamento.
Noi non faremo un referendum pro o contro il Governo perché la Costituzione
non è un affare del Governo, checché se ne dica.
Anzi, il Governo deve sottostare e attuare la Costituzione; non pensare a
manometterla.
Noi continueremo a sostenere la repubblica parlamentare e le sue
istituzioni e saremo contro chi pretende di avere super maggioranze elettorali
e super poteri per stravolgere la forma di Stato nata dalla Resistenza.
Riformando il Senato non aboliremo le spese per la politica, ma
faremo ancora ingenti sprechi (rimarrà infatti la spesa di 490 milioni annui)
per un “ dopolavoro di lusso”.
Rimarrà la Camera dei Deputati, immutata solo apparentemente nelle
funzioni, ma il cui ruolo sarà ribaltato rispetto al Governo.
Ora è il Parlamento (Camera e Senato) che decide gli indirizzi politici del
Governo, e questo dovrebbe limitarsi ad attuare le leggi.
In futuro, secondo la riforma Boschi, ci sarà un accentramento dei poteri
nel Governo, ma anche la subalternità della Camera (senza più il Senato a fare
da contrappeso) che deciderà l’agenda dei lavori parlamentari sommando, oltre
all’obbligo di convertire i frequentissimi decreti – legge, la
possibilità per il Governo di obbligare la Camera ad approvare entro 75 giorni
i suoi provvedimenti di legge.
Il premierato forte proposto dalla riforma, ha il significato di un uomo
solo al comando, per di più essendo lo stesso il leader del partito che, anche
se di maggioranza relativa risicata, avrà la maggioranza assoluta ( 54%) dei
deputati.
Se la riforma costituzionale andasse in porto, il futuro governo potrebbe
usare, e perfino abusare, dell’enorme premio di maggioranza per proporre altre
svariate modifiche costituzionali.
Un partito, espressione di una minoranza di elettori, potrebbe modificare
l’impianto dello Stato a sua piacimento.
Potrebbe dichiarare una guerra o inviare i militari all’estero con estrema
facilità.
Il Parlamento, ancora composto in gran parte di nominati e di fatto
subordinato al Governo, non avrebbe quasi nessuna autonomia di scelta.
Non è vero che chi voterà si al referendum per la nuova costituzione
(che è in effetti una cosa diversa da quella attuale) sia riformista e
innovatore, mentre chi voterà contro, sarebbe conservatore.
Se chi vuole pretendere di modernizzare le istituzioni propende per un
Parlamento dominato dal Governo; da una legge elettorale che può dare al 25%
dei voti il 54% dei seggi dell’unico ramo del Parlamento che conterà, allora
non avremo più uno Stato democratico e fondato sulle scelte degli elettori, ma
solo un apparato di partito che dominerà la scena politica; imporrà le proprie
scelte di convenienza momentanea, anche per le questioni più importanti, e
influenzerà ogni attività dello stato.
Alla faccia del principio di rappresentanza; del federalismo; del
decentramento amministrativo e in fin dei conti, della democrazia nel nostro
paese.
Coloro che nel 2016 hanno votato contro la riforma costituzionale del
Governo Berlusconi si troveranno in un bel dilemma.
O voteranno sì al referendum perché il Governo è cambiato e loro si allineano
al Governo che si dichiara diverso e avversario di Berlusconi; ma allora
dovranno rendersi conto di questa riforma verticalista e accentratrice va
nel solco tracciato da quella riforma bocciata. Oppure dovranno dire di avere
cambiato idea e adesso va bene un Governo con un potere molto più forte.
Oppure dovranno rendersi conto di quello che andrebbero a votare, salvando
così la Costituzione pluralista e democratica che i partiti, che hanno
con dott o la resistenza al fascismo, ci hanno consegnato, Abbiamo
l’onere di valorizzarla e attuarla. Non di sottovalutarla.
La riforma costituzionale oggetto del referendum d’autunno privilegia la
governabilità sulla rappresentatività; elimina i contropoteri esterni alla
Camera senza sostituirli; riduce il potere di iniziativa legislativa del
Parlamento a vantaggio di quello del Governo; prevede almeno sette tipi diversi
di votazione delle leggi ordinarie con pregiudizio della funzionalità del
lavoro della Camera; nega l’elettività diretta del Senato (ancora prevista
nella Costituzione) attribuendogli però residue funzioni legislative e di
revisione costituzionale; rende irrilevante il voto dei senatori
(ri dott i a 100) nelle sedute comuni del Parlamento; pregiudica il
lavoro dei Senatori che sono anche Sindaci e consiglieri regionali, e che
pertanto lavoreranno a part-time.