lunedì 25 luglio 2016

La Deforma Costituzionale

Il Governo aveva preannunziato il referendum confermativo sulla “deforma” costituzionale per i primi giorni di Ottobre.
Sembrava di avere fretta ad ottenere il consenso dei cittadini.
Dopo le poche esaltanti elezioni amministrative è iniziato un balletto, con relativa ridda di indicazioni sulle date della consultazione, che la farebbero slittare alla fine del prossimo mese di Ottobre, o addirittura a Novembre.
La fissazione sarebbe ulteriormente legata a varie proposte di modifica della legge elettorale, ancora non sperimentata nella sua applicazione concreta.
Chiediamo al Governo un po’ di serietà.
La consultazione dei cittadini, come atto di democrazia diretta, è una cosa seria.
Non si può tenerla in sospeso a seconda delle vicende di questo governo, che oggi teme i ballottaggi che Lui stesso ha previsto.
Gli elettori non sono burattini, da fare muovere con i fili della convenienza da parte di chi ha solo interesse a consolidare il proprio potere.
Viene abolita l’elettività diretta dal Senato.
Viene abolita l’elezione dei Consigli provinciali.
Viene ampliato il numero minimo di firme per proporre una legge di iniziativa popolare.
La maggioranza del Parlamento affidata ad una minoranza di elettori, con il premio di maggioranza e i ballottaggi.
Non si va verso uno Stato più efficiente.
Si va verso uno Stato che tiene sempre meno conto degli elettori e si affida sempre più a minoranze ben organizzate.
Tutto ciò, sin dall’antichità, si è sempre chiamato “OLIGARCHIA”, che è il contrario di “DEMOCRAZIA”.
 La cosiddetta “riforma” costituzionale appoggiata dal Governo dovrebbe rendere più efficiente lo Stato e le istituzioni.
Ma questo sarà il risultato:
1) La Camera non sarà più rappresentativa dell’elettorato, perché il premio di maggioranza altererà ogni criterio di rappresentanza.
2) Il Senato sarà composto da Consiglieri regionali e Sindaci che, svolto il loro lavoro principale, avranno ben poco tempo da dedicare al loro “secondo lavoro”.
3) I procedimenti per legiferare si moltiplicano e si complicano.
4) I cittadini avranno ancora meno possibilità di proporre leggi.
5) Passeranno velocemente, come oggi, solo le leggi proposte dal Governo; piacciano o non piacciano.

Ci sembra che la decantata maggiore efficienza democratica, si risolverà sempre più in un’attività di pochi, non eletti ma nominati.

lunedì 18 luglio 2016

Da alcune settimane

Da alcune settimane ci capita di assistere ad incontri organizzati dal Pd bresciano sulla riforma costituzionale, o di leggerne i resoconti giornalistici, cogliendo dai relatori le solite espressioni, frasi semplicistiche o slogan: "passaggio storico", "salto di qualità", "momento atteso da tempo".

E ancora "ridurre lo iato che c’è tra istituzioni e corpo sociale": come?
Facendo un Senato di seconda categoria, quasi un dopolavoro per consiglieri regionali; togliendo l’elezione diretta dei senatori, in un momento in cui la disaffezione e la disistima verso i politici si esprimono perfino nelle elezioni amministrative?
Aumentando il numero di firme necessarie per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare con la promessa di discuterla a data certa, le cui modalità sono rimesse a un regolamento approvato da una camera di nominati, come di fatto prevede l’Italicum?
Si sente o si legge di "una risposta ai problemi reali che affliggono il nostro Paese": quali?
Per caso mafie, corruzione, debito pubblico, disoccupazione?
Macché, manipolando la Costituzione!

Una grossa preoccupazione: "Come reagiranno gli altri Paesi europei" se la riforma costituzionale non passasse?
Senz’altro, questi Paesi avrebbero preferito (a una riforma che oggi riduce le autonomie regionali da parte di eredi della forza politica che, dopo aver inseguito nel 2001 la Lega sul federalismo, oggi centralizza e vuole “estrarre” i senatori proprio dalle regioni, che ospitano la classe politica in assoluto più inquisita) che non dovessimo coprire con soldi pubblici, provenienti in gran parte da coloro che pagano davvero le tasse,  i deficit delle banche.
E anche che non fossimo il Paese europeo con più procedure pendenti per violazione del diritto Ue (e questo dopo aver sottoscritto ogni regola decisa a Bruxelles).

"Riforma quale necessità inderogabile" certamente per il governo e per Renzi, che si è appropriato della Costituzione bene di tutti per farne programma di governo, dopo essere diventato presidente del consiglio di un parlamento eletto con una legge incostituzionale e dopo aver “rasserenato” l’allora presidente del Consiglio Letta, le cui dimissioni Napolitano accettò senza che Letta fosse passato da un voto di sfiducia del Parlamento. Parlamento di nominati eletto con una legge incostituzionale, il Porcellum, il cui nome è un programma.

"Rischio di deriva con caratteri autoritari se vincesse il No".
Il No sostenuto da costituzionalisti e ex presidenti della Corte costituzionale, quelli cui la Costituzione affida il compito di verificare la compatibilità delle leggi alla Costituzione?
Il rischio di una deriva con caratteri autoritari si ha invece con un progetto di riforma costituzionale il cui vero scopo è quello di adeguare le istituzioni alla vera riforma renziana, l’Italicum, che doveva permetter al PD = Renzi di avere una maggioranza artificiale in Parlamento e che oggi si mette in discussione, non perché generosamente Renzi “si è detto disponibile” ma perché le elezioni amministrative gli hanno fatto capire che chi di Italicum ferisce di Italicum può perire = al ballottaggio rischio di vittoria M5S.
Le persone in carne e ossa che abbiamo incontrato nei numerosi banchetti per la raccolta di firme contro l’Italicum hanno parlato di pensioni basse, di difficoltà di lavoro, nel pagare il mutuo, nell’accedere alle cure mediche e tante, non voglio dire tutte, ma tante sono state le frasi tipo “sono tutti uguali, tanto fanno quello che vogliono, cosa vuoi che firmi, non hai visto che fine fanno i referendum come quello dell’acqua? a che serve? Ma perché non fanno le leggi che realizzano la Costituzione, invece di metterle addosso le mani?” ecc ecc”.

Governabilità, governabilità : ecco il mantra ripetuto.
Ma chi deve governare? E per fare che cosa?
Se è per far coincidere il governare con il comandare, per smontare lo Statuto dei lavoratori, per fare una riforma della scuola di tipo verticistico, se è per allearsi con Confindustria, Confcommercio e snobbare il sindacato dei lavoratori, cioè se è per avere riforme proprie d'un governo di centro-destra che tratta la Costituzione come una legge ordinaria soggetta a tira e molla e priva di una visione organica, beh allora votare No è un modo per riappropriarsi della sovranità.
E questo, anche in nome dell'art. 1 della Costituzione:
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione

che se è, come troppo spesso si sente dire, "la più bella del mondo", perché deve subire violenze d'ogni tipo?

giovedì 14 luglio 2016

La "riforma" costituzionale del governo non fa risparmiare nulla e non abolisce niente

La “riforma” costituzionale del Governo non fa risparmiare nulla e non abolisce niente.
1) Il Senato non viene abolito, e costerà soltanto il 5% - 10% in meno del costo attuale.
2) Le Province sono abolite per la parte elettiva ma non per gli apparati, le burocrazie, le competenze, che restano invariate, così come le relative spese.
3) La Camera dei deputati rimane invariata nel numero, e nelle spese relative.
4) Le spese per il Governo, in compenso,  aumentano ogni anno.
Non è un vero taglio delle spese e degli organi inutili; ma solo un’operazione di facciata e di pura Propaganda.
Il nuovo Senato previsto dalla “riforma” costituzionale sottoposta a referendum nei prossimi mesi,  prevede che i senatori si riducano a 100, di cui 74 Consiglieri regionali, 21 Sindaci oltre quelli Trento e Bolzano,  5 Senatori nominati dal Presidente della Repubblica.

Così avremo:
1) Una camera non elettiva, contrariamente a quanto prevede la Costituzione stessa.
2) Un Senato che sarà un dopolavoro di Consiglieri regionali e Sindaci.
3) Un Senato con componenti che si formeranno in tempi diversi, e chiunque di composizione incerta e variabile.
4) Il Senato userà procedimento legislativo diverso da quello della Camera.
5)  Si formerà un piccolo partitino senatoriale del Presidente della Repubblica.
Nella più pasticciona  delle repubbliche delle banane non sarebbero riusciti a inventare un simile guazzabuglio.
La cosiddetta “ riforma” della Costituzione è stata voluta dal Governo,  che però non è stato in  grado di avere raggiunto il consenso in un Parlamento eletto con il già superato “ PORCELLUM” , dichiarato  incostituzionale.
Si tratta pertanto di un Parlamento di persone nominate dai partiti, ma  anche delegittimate, che avevano tutto l’interesse a nuovamente legittimarsi con una nuova “ legge truffa”.

Visto che non  ha ottenuto neppure in quel contesto ciò che voleva, il Governo tenta ora di fare confermare le proprie scelte agli elettori , confidando nel fatto che i cittadini .accettano supinamente  quelle scelte.

Sarà allora il caso che gli elettori dimostrano di ragionare con la loro testa e non secondo le pretese di un Governo che non è nato in  una situazione di sostanziale legittimazione.

lunedì 27 giugno 2016

Un nuovo Padrone

Se avrà l’investitura plebiscitaria che egli chiede ogni giorno, con una televisione pubblica ancora in mano ai partiti (di governo), e se, come è quasi certo, saranno convocate le elezioni politiche nella prossima primavera con la nuova legge elettorale Italicum” (si spera, di abrogare al più presto), il Presidente del Consiglio avrà un controllo completo del Parlamento.

Maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati (chi vince il primo turno col 40% o al ballottaggio successivo prende tutto) e un Senato di 100 persone nominate tra i politici regionali di secondo piano (dei quali una certa parte di sicura fede governativa). Così potrà proporre, con la corsia privilegiata che la modifica costituzionale assicura al Governo, progetti di legge a raffica.
Non ci sarà più spazio per le proposte dei partiti e della società civile, e l’Italia potrà confidare solo su questo novello “uomo della provvidenza”; nel bene e nel male.
  
Se vince il SI al prossimo referendum Costituzionale, avremo un nuovo padrone dell’Italia.
Tramontate le fortune (politiche, non economiche e finanziarie) di Berlusconi, avremo un nuovo leader, per la verità non molto dissimile dal precedente, che punta ad un plebiscito sulla sua  leadership.

Se vincerà, potrà vantare di avere un consenso diretto, senza neppure la mediazione del suo partito, il PD, in quanto il popolo (così si dirà) si sarà pronunciato per lui.
L’Italia diventerà così una democrazia plebiscitaria.
Ma questo film, pur senza squadracce e olio di ricino, non l’abbiamo già visto?

Visto che, con i meccanismi dell’Italicum (la nuova legge elettorale), il premier avrà la maggioranza assoluta in un Parlamento fatto in buona parte da “nominati“, come ad esempio tutti i senatori, potrà parlare anche lui di “aula sorda e grigia?”.

Due sono i fattori trainanti della proposta di riforma della Costituzione italiana, nata dalla Resistenza;
1) Ridurre i costi della politica con la riforma del Senato.
2) Accelerare i tempi delle decisioni.
Sul primo punto va chiarito che il Senato non è abolito, ma solo ridimensionato nei numeri e nei poteri.
Resta tutto l’apparato amministrativo e del personale. Si riducono solo i costi dei compensi dei senatori. Da 530 milioni a soli 480 milioni l’anno. Un bel risparmio vero? Ma non era più semplice abolire il Senato?

Il secondo punto riguarda i tempi della legiferazione, che non sempre corrispondono all’efficienza e alla buona tecnica legislativa.
Ricordiamo infatti che leggi fatte approvare con la forte spinta del Governo, in tempi non lontanissimi (Governo Berlusconi) quali quelle sulla droga, sulla procreazione assistita, sul cosiddetto Porcellum”, sono state fatte a pezzi dalla Corte Costituzionale.

A conferma che la fretta è cattiva consigliera e che “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi .

venerdì 17 giugno 2016

Un uomo solo al comando

Se, con la riforma della Costituzione e la nuova legge elettorale (che entra in vigore il primo luglio di quest’anno) un partito e il suo leader prendono la maggioranza in Parlamento, si instaura una intesa governo – parlamento che per cinque anni – durata della legislatura – imperverserà indisturbata.
Infatti nel Parlamento, ridotto di fatto alla sola Camera dei deputati, il partito di maggioranza relativo avrà la maggioranza assoluta e su ogni legge che proporrà il Governo non solo ci sarà un procedimento più facile e spedito, ma ci sarà sempre la maggioranza garantita.
Dunque, nel bene e nel male, avremo cinque anni di stabilità, ma anche cinque anni nel corso dei quali ogni dissenso, ogni idea diversa, saranno mortificati.
Vogliamo proprio questo?
Se pensate di no, votate no alla proposta di riforma costituzionale sottoposta a referendum.

Il Presidente degli Stati Uniti, se vuole fare passare una propria proposta di legge, deve venire a patti con il Parlamento.
Il Presidente della Francia deve fare lo stesso.
E siamo in repubbliche presidenziali.
Con la nuova legge elettorale italiana (Italicum) il Presidente del Consiglio e il Governo avranno a disposizione la maggioranza assoluta del Parlamento; avranno corsie preferenziali e potranno porre la fiducia al proprio partito per fare passare integralmente le proprie proposte.
Che contrappeso avrà il Governo da parte del Parlamento?
Così tutti i rappresentanti del Parlamento negli organi di garanzia (Corte Costituzionale, CSM, Alte Magistrature), ma anche nelle istituzioni pubbliche più delicate (RAI, Servizi di sicurezza) saranno sempre designati a senso unico  e a colpi di maggioranza.
Come si definisce uno stato dove non ci sono spazi per le opposizioni e le minoranze?

 Perché due gruppi politici di centro-destra come quello di Alfano (Nuovo centro destra) e quello di Verdini (ex Forza Italia) sostengono la riforma costituzionale appoggiata dal principale partito di Centro – Sinistra?
Il motivo è semplice; la riforma ricalca le orme di quella che aveva proposto il centro destra nel 2006 e la legge elettorale prossima entrare in vigore è peggio del “Porcellum”, voluto già dai leghisti e da Berlusconi.
Nel 2006 però la riforma proposta è stata sonoramente respinta dal popolo italiano.
Adesso Verdini e Alfano, che hanno trovato utili idioti che ripropongono quelle stesse cose, gongolano e si strizzano l’occhio con soddisfazione.

Il problema sarà di chi, come Berlusconi e Calderoli, quelle riforme volevano e oggi non vogliono più.

venerdì 27 maggio 2016

Italicum

Italicum ( Legge elettorale) =  Governo dei pochi
Immaginate un paese dove va a votare il 50% degli elettori (è già successo alle scorse elezioni europee).
Immaginate che il partito più votato prenda il 25% dei voti (i sondaggi per molti partiti danno percentuali simili).
A questo punto si va al ballottaggio con altra forza politica che ha preso poco più o meno in termini di voti, e questo partito prevale.
Significa che un partito che ha avuto il 12,5% dei suffragi degli elettori avrà il 54% dei deputati (più un pò di altri senatori) e potrà governare per 5 anni rappresentano però  una ristretta minoranza di elettori.

Chiunque governerà, avrà a propria disposizione il grimaldello per la cassaforte dei pieni poteri.
Infatti la nuova legge elettorale “Italicum” darà a chi vincerà le elezioni, anche di un soffio e pure con scarso risultato, un governo di maggioranza che gli farà dominare l’unica camera parlamentare importante rimasta.
Il Senato, che non viene abolito, avrà solo poche competenze, e nemmeno rilevanti, e non potrà certo bilanciare gli sconvolti equilibri parlamentari.
Così il partito che avrà il premio di maggioranza avrà anche il governo e ogni altro potere.
Non è una storia che abbiamo già visto?

Il Presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia Docente universitario di diritto del lavoro e avvocato) è stato attaccato fino al dileggio da parte dei sostenitori della riforma costituzionale.
Gli danno del rimbambito e del conservatore.
E’ veramente indecente che coloro che sono nati e vissuti al riparo di una Costituzione aperta, democratica, antifascista rinfaccino di essere una cariatide da museo. a chi difende questa conquista (ottenuta col sangue di molti martiri) come patrimonio della nostra storia più recente.

Non si vergognano di poter oggi usare di quelle libertà che proprio le “ vecchie mummie conservatrici” hanno regalato loro?

sabato 21 maggio 2016

Ministra Boschi

Alla Ministra Boschi, che dice che noi al referendum sulla modifica costituzionale voteremo con i neonazisti di Casa Pound, rispondiamo:
1) Nel 2006 è stato proposto un simile referendum su una ipotesi di riforma della costituzione molto più blanda di quest’ultima, che viene proposta dalla stessa Ministra.
Casa Pound aveva votato a favore; noi e il partito della Boschi contro.
2) Oggi il partito della Ministra appoggerà questa riforma, che stravolge ancora più la legge fondamentale dello stato.
Forse che Casa Pound ha cambiato idea, mentre il PD oggi la pensa come pensava Casa Pound?
  
Ci sorge un dubbio atroce.
Forse solo oggi abbiamo capito perché molti si sono opposti alla riforma costituzionale proposta da Berlusconi, che voleva una costituzione con più poteri per il Governo?
Forse perchè tanti la pensavano troppo blanda, mentre oggi, sconvolgendo gli equilibri tra Governo e Parlamento, si farebbe finalmente sul serio?
Però costoro non hanno capito che le leggi, non sono buone o cattive perché le propongono o Renzi o Berlusconi.
Le leggi sono buone o cattive per quello che dicono.
Oggi l’attuale governo propone leggi che Berlusconi non si sognava nemmeno di proporre.
La democrazia non è un valore che dipende dall’uomo al comando. Mussolini ce l’ha insegnato.

Molti sono preoccupati perché il primo ministro ha detto (solo detto) che se al referendum confermativo della riforma costituzionale non prevarranno i si, lui andrà a casa.
Ammesso e non concesso che sia vero (ha sempre al proprio attivo una legge elettorale – l’Italicum – che è fatta su misura per lui) noi non siamo molto preoccupati se un abile chiacchierone dovrà mollare la sedia del governo. Ce ne faremo una ragione.
Altrimenti, se non vorrà farlo, preferiamo che continui a governare con la fiducia del Parlamento (Camera e Senato) e con qualche controllo in più sul di lui operato.

Se infatti dovesse governare con la riforma della Costituzione in vigore, dovremo temere che ci dica anche cosa mangiare la mattina a colazione.

venerdì 20 maggio 2016

Non siamo conservatori e ci opponiamo alla legge elettorale

E’ conservatore chi si oppone ad una legge elettorale che aumenta ancora più di prima il premio di maggioranza; e mantiene il principio della nomina dall'alto dei candidati; non favorisce più le coalizioni tra forze diverse, pur della stessa tendenza; sancisce il principio che la corrente maggioritaria del partito di maggioranza relativa (che può avere anche meno del 25% dei votanti) potrà dominare il Parlamento, ridotto ad un organo di mero consenso al Governo.
Riteniamo che conservatori siano coloro che tenteranno di introdurre uno sbilanciamento tra Parlamento e Governo a favore di quest’ultimo, e che vorrebbero modificare il principio elettorale di rappresentatività, che è fondamentale per ogni democrazia.

La Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima la scorsa legge elettorale (quella chiamata “porcellum“) perché distorceva troppo la rappresentatività; mortificava le scelte degli elettori e stabiliva una soglia di sbarramento per i piccoli partiti troppo alta.
L’attuale legge conserva il principio dei nominati dalle segreterie di partito e aumenta ancor più il premio di maggioranza.
Ma la cosa peggiore è che un Parlamento che è stato eletto con una legge incostituzionale non solo oggi ha rifatto una legge elettorale quasi identica a quella con cui sono stati eletti, se non peggiore, ma ha voluto una riforma costituzionale che stravolge alcuni principi basilari dell’assetto costituzionale, quale il rapporto tra Parlamento e Governo.
Sono conservatori coloro che si oppongono a questi colpi di mano e sono “veri riformatori” coloro che essendo delegittimati, cambiano le leggi a proprio favore e utilità?.

La cosiddetta “riforma costituzionale” è in realtà una controriforma che tende ad assicurare e stabilizzare la situazione attuale di sfiducia dell’elettorato nei partiti di potere, nel segno di una  tra i tristi anni scorsi e il futuro, invero assai incerto.
Le modifiche costituzionali proposte infatti risultano inadeguate a superare gli abusi del recente passato ponendosi, in continuità con quelle logiche regressive che vogliono rafforzare il Governo e svalutare la rappresentanza.
Non a caso oggi si governa (caso emblematico l’Emilia) con il voto di meno della metà degli elettori e si dichiara di avere il 40% dei consensi con la metà dei cittadini che non hanno votato. (Vedi elezioni europee).
Tutto ciò ha prodotto una situazione di crisi stagnante della fiducia degli elettori nella politica.
Sono veri riformatori i responsabili di ciò?
Sono conservatori coloro che vogliono superare tali cose rilanciando una maggiore  rappresentatività dei cittadini?

venerdì 29 aprile 2016

Renzi : o con me o mi dimetto

Il Presidente del Consiglio ne fa una questione personale.
O con me o mi dimetto.
Stia sereno e pensi a fare bene il Suo lavoro.
Legge elettorale e riforma della Costituzione non fanno parte del suo lavoro, poiché spettano al Parlamento.
Noi non faremo un referendum pro o contro il Governo perché la Costituzione non è un affare del Governo, checché se ne dica.
Anzi, il Governo deve sottostare e attuare la Costituzione; non pensare a manometterla.

Noi continueremo a sostenere la repubblica parlamentare e le sue istituzioni e saremo contro chi pretende di avere super maggioranze elettorali e super poteri per  stravolgere la forma di Stato nata dalla Resistenza.

 Riformando il Senato non aboliremo le spese per la politica, ma faremo ancora ingenti sprechi (rimarrà infatti la spesa di 490 milioni annui) per un “ dopolavoro di lusso”.
Rimarrà la Camera dei Deputati, immutata solo apparentemente nelle funzioni, ma il cui ruolo sarà ribaltato rispetto al Governo.
Ora è il Parlamento (Camera e Senato) che decide gli indirizzi politici del Governo, e questo dovrebbe limitarsi ad attuare le leggi.
In futuro, secondo la riforma Boschi, ci sarà un accentramento dei poteri nel Governo, ma anche la subalternità della Camera (senza più il Senato a fare da contrappeso) che deciderà l’agenda dei lavori parlamentari sommando, oltre all’obbligo  di convertire i frequentissimi decreti – legge, la possibilità per il Governo di obbligare la Camera ad approvare entro 75 giorni i suoi provvedimenti di legge.

Il premierato forte proposto dalla riforma, ha il significato di un uomo solo al comando, per di più essendo lo stesso il leader del partito che, anche se di maggioranza relativa risicata, avrà la maggioranza assoluta ( 54%) dei deputati.
Se la riforma costituzionale andasse in porto, il futuro governo potrebbe usare, e perfino abusare, dell’enorme premio di maggioranza per proporre altre svariate modifiche costituzionali.
Un partito, espressione di una minoranza di elettori, potrebbe modificare l’impianto dello Stato a sua piacimento.
Potrebbe dichiarare una guerra o inviare i militari all’estero con estrema facilità.
Il Parlamento, ancora composto in gran parte di nominati e di fatto subordinato al Governo, non avrebbe quasi nessuna autonomia di scelta.
 Non è vero che chi voterà si al referendum per la nuova costituzione (che è in effetti una cosa diversa da quella attuale) sia riformista e innovatore, mentre chi voterà contro, sarebbe conservatore.
Se chi vuole pretendere di modernizzare le istituzioni propende per un Parlamento dominato dal Governo; da una legge elettorale che può dare al 25% dei voti il 54% dei seggi dell’unico ramo del Parlamento che conterà, allora non avremo più uno Stato democratico e fondato sulle scelte degli elettori, ma solo un apparato di partito che dominerà la scena politica; imporrà le proprie scelte di convenienza momentanea, anche per le questioni più importanti, e influenzerà ogni attività dello stato.
Alla faccia del principio di rappresentanza; del federalismo; del decentramento amministrativo e in fin dei conti, della democrazia nel nostro paese.
  
Coloro che nel 2016 hanno votato contro la riforma costituzionale del Governo Berlusconi si troveranno in un bel dilemma.
O voteranno sì al referendum perché il Governo è cambiato e loro si allineano al Governo che si dichiara diverso e avversario di Berlusconi; ma allora dovranno rendersi conto di questa riforma verticalista  e accentratrice va nel solco tracciato da quella riforma bocciata. Oppure dovranno dire di avere cambiato idea e adesso va bene un Governo con un potere molto più forte.
Oppure dovranno rendersi conto di quello che andrebbero a votare, salvando così la Costituzione pluralista e democratica che i partiti, che hanno con dott o la resistenza al fascismo, ci hanno consegnato, Abbiamo l’onere di valorizzarla e attuarla. Non di sottovalutarla.


La riforma costituzionale oggetto del referendum d’autunno privilegia la governabilità sulla rappresentatività; elimina i contropoteri esterni alla Camera senza sostituirli; riduce il potere di iniziativa legislativa del Parlamento a vantaggio di quello del Governo; prevede almeno sette tipi diversi di votazione delle leggi ordinarie con pregiudizio della funzionalità del lavoro della Camera; nega l’elettività diretta del Senato (ancora prevista nella Costituzione) attribuendogli però residue funzioni legislative e di revisione costituzionale; rende irrilevante il voto dei senatori (ri dott i a 100) nelle sedute comuni del Parlamento; pregiudica il lavoro dei Senatori che sono anche Sindaci e consiglieri regionali, e che pertanto lavoreranno a part-time.

sabato 9 aprile 2016

Fine del principio di rappresentatività tutto il potere a pochi

Tutto ciò permetterà pertanto a un partito che avrà la maggioranza relativa, magari anche con il voto di meno del 50% degli elettori andati a votare, di potere ottenere una schiacciante maggioranza che domini il parlamento, per poi poter dare la fiducia ad un governo della propria parte formulando al 100% le leggi; esprimendo tutti i presidenti delle commissioni parlamentari; esprimendo un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura; nominando il Presidente della Repubblica e diversi giudici della Corte Costituzionale; con buona pace degli organismi di controllo che saranno tutti controllati dal partito di maggioranza relativa il quale, non avrà a sua volta controlli esterni e contrappesi dal punto dell’apparato costituzionale così modificato e snaturato.
In sostanza si andrà versa la dittatura di un solo partito magari anche minoritario, che sarà però dominato dal Governo, stanti i nuovi poteri che esso avrà.

Se poi il Segretario del partito e Presidente del Consiglio coincideranno, ci sarà il dominio assoluto sul paese di una corrente di partito.

venerdì 8 aprile 2016

Il sistema elettorale bara ! Il potere assoluto a deboli maggioranze

A tali riforme va collegato direttamente il nuovo sistema elettorale, in quanto esso ha precisi effetti sulla composizione di fondamentali organi costituzionali, quali la camera dei deputati, la cui modifica assume un ruolo centrale con questa riforma.
Si riatta infatti di un sistema che tende ad attribuire ad un unico partito la vittoria elettorale e il governo del paese. Viene infatti proposto un sistema che premia un unico partito quando questo riesce a prevalere, anche solo relativamente, addirittura non contemplando e abolendo le coalizioni. Tratto caratteristico di questo sistema è il fatto che se non solo partito supera la soglia del 40% esso avrà subito un premio di maggioranza che gli consentirà di avere la maggioranza assoluta nel parlamento, ovvero il 54% dei seggi.
Se nessuna lista raggiungerà il 40%, si svolgerà un ballottaggio tra le prime due liste, che potrebbero avere ottenuto in prima battuta percentuali anche inferiori al 25%; quella che prevale si aggiudicherà comunque il premio di maggioranza come sopra indicato, e potrà governare con percentuali di voto molto risicate e quindi con una rappresentatività minima dell’elettorato. Se poi il numero dei votanti, come sta accadendo ultimamente, diminuirà ulteriormente, allora avremo veramente dei governi in balia alle minoranze elettorali che sapranno organizzare il proprio voto.
C’è una soglia di sbarramento al 3% per cui il partito che su base nazionale non prenderà quella percentuale sarà del tutto escluso. I parlamentari saranno nominati dai partiti, che presenteranno delle liste bloccate, con il capolista automaticamente eletto se scatta il seggio.

Così saranno sempre eletti gli uomini di fiducia del Segretario, che esprime anche esso una parte sola del partito.

Meno autonomie locali ! Più burocrazia

Viene infatti abolita la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, che assegna alio Stato alcune competenze legislative esclusive e alle regioni invece altre.
In questa maniera lo Stato avrà competenza su tutte le materie legislative, tra le quali le grandi reti di trasporto; l’ordinamento delle comunicazioni; la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; la tutela della salute; della sicurezza del lavoro e delle politiche sociali; l’ordinamento della istruzione e formazione professionale che precedentemente erano state demandate, salvo provvedimenti quadro della legge nazionale di tipo larghissimo, alle competenze delle regioni.

Si introduce una clausola di “supremazia statale” che prevede che il governo possa modificare le legislazioni regionali, intervenendo su materie oggi di competenza esclusiva delle regioni, al fine di “omogeneizzare” la disciplina sul territorio nazionale. In questo modo si toma indietro rispetto al concetto di decentramento amministrativo dello Stato.

Il Governo condizionerà pesantemente chi dovrà fare le leggi

Il governo acquista ulteriori poteri, in quanto avrà diritto ad una votazione prioritaria dei disegni di legge dallo stesso proposti.
Già oggi, di fatto, il Parlamento lavora e funziona per lo più sulla base delle leggi proposte dal Governo, che praticamente occupano con prevalenza il campo della scena politica e impegnano i lavori del parlamento quasi completamente. Ma il Governo adesso potrà addirittura chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, la propria legge. Tale disegno di legge dovrà essere sottoposto a pronuncia definitiva entro il termine di 70 giorni. Si introduce così una vera e propria corsia preferenziale, codificata, per il Governo che farà sì che l’attività del Parlamento sia condizionata quasi interamente dalle scelte legislative imposte dal Governo stesso.
E’ così capovolto un primario cardine della repubblica parlamentare così come definito dalla Costituzione del 48.

Si modifica così un meccanismo che, nell’attuale costituzione, vedrebbe il governo sottoposto al controllo del parlamento. Si invertono invece le parti, facendo sì che il parlamento lavori quasi esclusivamente su impulso del governo.

mercoledì 6 aprile 2016

La maggioranza della camera nominerà tutti gli organi di garanzia

E’ previsto un nuovo sistema di elezione degli organismi costituzionali di garanzia quali ad esempio il Presidente della Repubblica, i Giudici costituzionali il Consiglio superiore della magistratura, ciré hanno, nell’impianto costituzionale, la funzione di essere garanti e controllori delle attività svolte dal Parlamento e dal Governo. Il Presidente della Repubblica, per esempio, potrà essere scelto dopo il settimo scrutinio (cosa che accade molto spesso) dai tre quinti dei votanti, e non dei componenti dell’assemblea. Pertanto basterà che il partito di maggioranza relativa si rechi in massa, dopo la sesta votazione, a votare il proprio candidato se non condiviso con altri, che questo sarà eletto da quel partito e non più dalla maggioranza delle forze politiche del Parlamento, come l’attuale Costituzione invece prevede.

Anche per quanto riguarda il sistema di elezione dei giudici costituzionali, tre di essi saranno nominati dalla Camera, a sua volta eletta con un sistema che prevede un forte premio di maggioranza, e che pertanto potrà non rappresentare l’effettivo orientamento dell’elettorato; mentre due Giudici potranno essere designati dai senatori, che non sono rappresentanti del popolo, bensì nominati dalle Regioni con i meccanismi che abbiamo visto precedentemente.

Le leggi le farà una camera dei deputati non rappresentativa dei cittadini

Il procedimento legislativo verrà del tutto stravolto perché non si faranno più leggi bicamerali, ma il senato potrà soltanto proporre modifiche per alcuni tipi di leggi, sulle quali in ogni caso si pronunzierà definitivamente la Camera dei deputati.
Il giudizio di costituzionalità sulle leggi elettorali è riconosciuto a un terzo dei senatori e a un quarto dei deputati, i quali potranno chiedere di sottoporre alla Corte Costituzionale le leggi elettorali, addirittura prima della loro promulgazione. Questo sarà in effetti un fatto problematico, in quanto non sono molto chiare le procedure che si applicheranno a tale giudizio preventivo. E inoltre, a meno che una legge non violi palesemente un dettato costituzionale, risulta assai difficile valutarne, in astratto e prima della sua entrata in vigore, il funzionamento e i problemi interpretativi e di attuazione che essa porrà. L’attuale sistema valuta le leggi quando sono operative, e non precedentemente. Questa novità potrebbe essere utilizzata in modo politico per bloccare leggi che sono invise alla maggioranza dei deputati, che non sarà necessariamente rappresentativa della maggioranza degli elettori, come si dirà più avanti.

lunedì 4 aprile 2016

Il Senato non viene abolito viene reso una larva inutile, ma ne pagheremo ancora il costo

Verranno nominati 100 senatori rispetto ai 315 attuali, di cui 74 saranno consiglieri regionali, 21 saranno sindaci eletti dai consigli regionali, e 5 verranno nominati dal Presidente della Repubblica.
Il Senato non avrà più la stessa funzione della Camera dei Deputati, ma parteciperà marginalmente al procedimento legislativo e dovrà limitarsi a funzionare come organo intermedio tra lo Stato e gli enti territoriali, non avendo tuttavia funzioni specifiche di rapporto con le politiche e le attività delle pubbliche amministrazioni locali.
In tal senso, il molo politico e costituzionale del senato risulta svincolato dalle amministrazioni locali e non precisamente determinato perché, anche se rappresenterà gli enti territoriali, svolgerà comunque funzioni politiche e istituzionali non omogenee all’attività di tali enti.
Anche le modalità di scelta dei senatori sono tutt’ora non chiare e indeterminate, e la loro nomina è demandata a una successiva legge ordinaria. Non è stato chiarito neppure come verranno scelti i 21 sindaci- senatori, ed è stata introdotta la figura dei senatori di nomina presidenziale, a tempo, con mandato di sette anni. Il che comporterà che questi neo senatori saranno completamente dipendenti dalla presidenza della repubblica, mentre attualmente ne sono del tutto svincolati.

La Costituzione non è Vecchia. E’ ancora Inattuata

Al di là del fatto che l’odierna Carta costituzionale non sembra essere ancora logora e superata dal punto di vista dei principi dell’organizzazione dello Stato e del suo ordinamento, nonché del funzionamento delle istituzioni, va rilevato come molte parti di quella Costituzione, contrariamente alla volontà del legislatore costituente del 48, non siano stati concretamente attuati con coerenti atti legislativi.
Il limite attuale della costituzione è infatti rappresentato dalla sua non completa attuazione rispetto a principi come il diritto al lavoro, il diritto alla casa, una legislazione tributaria effettivamente progressiva, la eliminazione delle differenze sociali e personali all’interno della società, tanto per citare solo alcuni esempi che, una volta attuati, renderebbero sicuramente la nostra Costituzione più completa e più adeguata alla società in cui stiamo vivendo.

Per tale motivo si ritiene che non serva modificare alcune parti essenziali della carta costituzionale, ma semplicemente dare ad essa piena e completa attuazione.

giovedì 17 marzo 2016

La riforma abbatte radicalmente i costi. Falso !

Un mantra ripetuto dai sostenitori della riforma costituzionale è che con la riduzione del numero dei senatori ci sarà un abbattimento dei costi, dato che essi non percepiranno alcuna indennità.

1.   Quanto costa il Senato?
Le spese per il Senato ammontano, attualmente, a circa 540 milioni di euro. Nel 2015 questa istituzione ha gravato sul bilancio complessivo dello Stato per una percentuale dello 0,064%,  con un rapporto di 1:1.568 .
Va innanzi tutto notato che si tratta di una spesa che è andata crescendo notevolmente nel corso delle legislature della “seconda Repubblica, con incrementi dovuti soprattutto alla previdenza per gli ex senatori e alle spese (retribuzioni e pensioni) per i dipendenti del Senato (e lo stesso è accaduto alla Camera). Paradossalmente, man mano che si acuiva la critica antiparlamentare (fatta propria anche dalla gran parte delle forze politiche che sedevano in Parlamento) il Parlamento italiano costava sempre di più.

2.   Quanto pesa la spesa per le indennità dei senatori in carica?
Dal bilancio pubblicato sul sito del Senato risulta chiaramente che l’indennità dei senatori è solo una piccola frazione del costo totale dell’istituzione. Attualmente, la spesa per l’indennità dei senatori ammonta a meno del 10% del totale (circa 42 milioni di euro).
La riforma porterebbe un risparmio modesto: i nuovi senatori continuerebbero comunque a percepire la diaria (attualmente circa 37 milioni di euro), che copre le spese di viaggio e di permanenza a Roma per l’esercizio del mandato. Anche se queste spese ricadessero sulle amministrazioni di appartenenza, sarebbero comunque a carico del pubblico erario.
Inoltre, la parte più rilevante della spesa rimarrebbe invariata: essa è infatti costituita dai costi per   le pensioni degli ex senatori e ex dipendenti (ben 233 milioni di euro), per gli immobili, i servizi e, soprattutto, per il personale: tali costi non verrebbero affatto eliminati con la riforma del Senato. Va anzi notato che, tra le disposizioni finali della riforma, è inserita una norma che, allo scopo dichiarato di rendere più efficienti le amministrazioni delle due Camere, istituisce un ruolo unico dei dipendenti del Parlamento, di fatto costituzionalizzando questa figura di funzionario statale col rischio, sottaciuto, di sottrarla definitivamente alle manovre di risparmio che interessano tutti gli altri dipendenti pubblici (spendig review, blocco del turn over e degli scatti stipendiali, tagli delle pensioni etc.).

3.   Perché non diminuire anche il numero dei deputati?
Se la logica è quella del risparmio, ridurre solo il numero dei senatori è un sintomo di falsa coscienza. Potrebbero allora piuttosto essere ridotti sia i senatori sia i deputati.
Va notato che sono stati avanzati diversi progetti di riforma che propongono di ridurre i numeri dei parlamentari delle due Camere. Tra questi, anche un progetto avanzato dal Gruppo PD nel 2008 che prevede 400 deputati e 200 senatori, con una riduzione del rapporto attuale del numero di parlamentari per 100mila abitanti da 1,6 a 1.


4.   I nostri parlamentari sono tanti?
Se analizziamo la graduatoria degli Stati con il maggior numero di parlamentari per abitante, l’Italia si colloca al 22° posto su 27 Paesi. Gli altri Stati di dimensione comparabile (Francia, Spagna) presentano valori non dissimili: ogni 100 mila abitanti in Italia ci sono 1,6 parlamentari, in Francia 1,4 e in Spagna 1,3.
Una posizione particolare presentano invece il Regno Unito (2,4 parlamentari ogni 100mila abitanti) e la Germania ( 0,8 parlamentari ogni 100 mila abitanti)
Al di là dei numeri (troppi, troppo pochi?) la valutazione sul giusto numero di parlamentari per il nostro Paese dovrebbe essere preceduta da una riflessione sulla rappresentanza: chi o che cosa si vuole rappresentare? Come? Per esercitare quali competenze?
Invece, tanto la critica all’attuale numero di parlamentari previsto nel nostro Parlamento, quanto la determinazione del numero di senatori proposta nella riforma, non appaiono affatto impostati partendo da riflessioni sulla rappresentanza democratica, né su come migliorare la selezione dei parlamentari per provare a riformare un ceto politico ridotto ormai a rappresentanza delle oligarchie partitiche e non dei cittadini.
Esse sembrano piuttosto il frutto di un diffuso sentimento antiparlamentare (con ragionamenti del tipo: il Parlamento in fondo non serve, quindi meglio ridurre il più possibile il numero di parlamentari che gravano sui contribuenti) e di una scelta finale casuale: il progetto del Governo prevedeva 122 senatori “rappresentativi” e 21 senatori nominati dal Presidente della Repubblica; il testo attuale prevede invece 95 senatori “rappresentativi” e 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica.
Invero, se la funzione del Senato è quella di rappresentare le autonomie territoriali, di tutelare le competenze regionali e di rappresentare le istanze degli enti regionali (e non direttamente il  corpo elettorale della regione), allora il numero di componenti si può ragionevolmente ridurre e il rapporto popolazione/rappresentanti può essere alterato anche molto, magari anche assegnando un numero fisso e uguale di rappresentanti ad ogni ente territoriale a prescindere dalla loro consistenza demografica. Ma la riforma non sposa questa logica, riduce solo i numeri dei senatori (e le competenze delle regioni): i nuovi senatori infatti non rappresenteranno la Regione da cui provengono, ma le forze politiche che li hanno selezionati e riprodurranno, dentro al Senato, la composizione partitica dei Consigli regionali, senza nemmeno essere vincolati (come invece avviene in Germania col vincolo di mandato) alle direttive della propria regione.


5.   L’esempio delle Province: abolire tutto per non abolire niente, o meglio per abolire soltanto il diritto dei cittadini di essere rappresentati nelle istituzioni
La retorica dell’inutilità dell’istituzione e della necessità di tagliare i costi eccessivi della politica che accompagna la riforma del Senato ha sorretto, prima ancora, la riforma delle Province sfociata nella legge 56 del 2014 (c.d. Legge Delrio). Essa prevede il trasferimento delle funzioni delle Province alle Regioni e ai Comuni (in vista del loro definitivo superamento che avverrà con la riforma costituzionale) e la soppressione dell’elettività diretta delle cariche provinciali, sostituita da una elezione di secondo grado da parte dei sindaci e dei consiglieri dei Comuni compresi nella Provincia.
Ad un anno dalla sua entrata in vigore, la relazione della Corte dei Conti al Parlamento disegna un quadro piuttosto negativo: oggi le Province in sostanza continuano a fare quel che facevano prima della riforma; i servizi erogati non sono infatti venuti meno con l’abolizione dell’elettività degli organi. Anche i costi non si sono ridotti: il personale non è infatti scomparso, ma andrà semmai trasferito (col rischio che se verrà trasferito alle Regioni avrà un trattamento retributivo superiore, altro che tagli!), né le funzioni da esercitare, che costano come prima.
A fronte dunque di un modesto risparmio realizzato sullo stipendio dei componenti degli organi Provinciali, i cittadini hanno pagato il prezzo altissimo di perdere il potere di scegliere direttamente chi deve gestire i loro servizi e il loro territorio.

6.   E quanto costano i nostri Governi?
La critica sui costi della politica si concentra sempre sulle istituzioni parlamentari, mentre trascura di rivolgere la stessa indagine sul Governo. L’istituzione Governo gode di “buona stampa” e non viene percepita come sprecona.
Eppure i numeri degli Esecutivi dell’era del bipolarismo e dei “Governi eletti” dovrebbero fare riflettere sul rischio “elefantiasi” che investe questa istituzione: un sistema che si regge sulla fedeltà al Capo anziché sul rapporto rappresentativo con gli elettori deve necessariamente  accontentare molti appetiti.
Per esempio, il Governo Renzi si compone di ben 64 membri tra ministri, viceministri e sottosegretari… quasi una terza Camera, altro che bicameralismo! E quanto ai costi, i Ministeri spendono sempre di più e non c’è alcuna reale volontà politica di realizzare l’ormai famigerata spending review.
Le spese del Segretariato generale di Palazzo Chigi sono lievitate fino alla cifra (nel 2014) di 754 milioni di euro… roba da far impallidire qualunque Senato! 

martedì 15 marzo 2016

Una riforma storica ? Falso ! Una riforma conservatrice

Una riforma conservatrice, che non fa altro che costituzionalizzare quanto avviene da anni, vale a dire il predominio dell’Esecutivo sul Parlamento.
Da vent’anni assistiamo infatti alla marginalità assunta nelle Camere dal confronto politico, schiacciato dall’abuso della decretazione, dai maxiemendamenti, dall’uso continuo e strumentale della fiducia, dai tempi di discussione contingentati. Tutto sembra volersi ridurre a procedura, quasi che il nostro Parlamento non sia più rappresentativo di interessi reali.
Le statistiche ci dicono
* che su 10 atti che diventano legge, 8 sono di iniziativa del Governo e solo 2 del Parlamento;  * che le leggi di iniziativa parlamentare necessitano del triplo del tempo rispetto ai provvedimenti di iniziativa governativa: 233 giorni contro 109 nella attuale legislatura con i Governi Letta e Renzi;
* che le iniziative del governo hanno una percentuale di successo molto più alta rispetto a quelle dei parlamentari, 32% vs. 0,87%;
* che lo spazio del Parlamento nelle produzione legislativa è reso ancor più misero dal ricorso al voto di fiducia dal parte del Governo: con Letta nel 27,78% delle leggi, con Renzi nel 31,01%.
* che le leggi più importanti sono di iniziativa governativa: provvedimenti economici, riforme, modifiche costituzionali, politica estera.
Con la riforma costituzionale aumenterà lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo. Spetterà infatti alla sola Camera dei deputati dare la fiducia al governo, ma si tratterà di una Camera priva di legittimazione popolare, perché eletta con una legge elettorale, il cui unico scopo è quello di assicurare comunque una maggioranza artificiale.
Ballottaggio, premio di maggioranza alla singola lista, soglie d’accesso, voto bloccato su capilista consegnano la Camera nelle mani del leader vincente anche con pochi voti, secondo il modello dell’uomo solo al comando. La competizione elettorale verrà totalmente sradicata dalle circoscrizioni elettorali locali e si svolgerà necessariamente come una competizione tra i leaders: la scelta reale avverrà tra i Renzi, i Grillo, i Berlusconi, i Salvini ecc
Il voto sarà un plebiscito per il capo, che si trascinerà dietro i parlamentari. In questo modo la legittimazione politica dei parlamentari, la loro capacità di essere interpreti dei loro elettori verrà ridotta a zero. La stessa loro carriera, la loro riconferma non sarà in base al giudizio che gli elettori daranno su di loro, ma dipenderà sul giudizio sul leader, per cui dal giorno dopo, in una Camera con maggioranza bulgara sempre e comunque, saranno in cerca dell’altro soggetto che garantisca loro la rielezione e saranno fedeli al leader finché quel leader sarà popolare.
A conferma di quanto è già avvenuto negli ultimi due anni e mezzo: 325 migrazioni tra Camera e Senato in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti.